“Disorientato nel tempo e parzialmente nello spazio”, con “comportamenti inadeguati” e “scarsamente collaborativo”. Così Renato Vallanzasca viene descritto nell’ultima relazione medica del carcere di Bollate (Milano). Per lui, date le “gravi condizioni di salute”, la sua difesa chiede che venga trasferito, in regime di detenzione domiciliare, in una struttura di cura in Veneto, che è già stata individuata dagli avvocati. E stamani si terrà l’udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza milanese che dovrà decidere.
I legali Corrado Limentani e Paolo Muzzi, difensori del 74enne ex boss della banda della Comasina, che è stato più di 50 anni in carcere e con “fine pena mai”, hanno chiesto ai giudici il “differimento pena per grave infermità”. E hanno già preso contatti con una struttura assistenziale veneta per malati di Alzheimer e demenza, che ha già visitato Vallanzasca e si è detta pronta ad accoglierlo. “I carabinieri – ha spiegato la difesa prima dell’udienza – hanno detto che quel posto va bene per il profilo dei servizi di vigilanza”.
In una relazione, acquisita dai legali nei mesi scorsi, l’equipe di medici del carcere di Bollate, dove è detenuto l’ex protagonista della mala milanese degli anni ’70 e ’80, aveva già spiegato che l’ambiente “carcerario” è “carente nel fornire” le cure e gli “stimoli cognitivi” di cui ha bisogno Vallanzasca, che soffre di un decadimento mentale. E che va trasferito in un “ambito residenziale protetto”, in un “luogo di cura esterno”.
Anche una recente relazione dei servizi di medicina penitenziaria del San Paolo di Milano segnala che le sue “condizioni cliniche sono difficilmente compatibili col regime carcerario” e che serve per lui “una struttura assistenziale”.
La Procura generale, così come la Procura, dovrà dare un parere sulla richiesta della difesa e poi i giudici (togati Carmen D’Elia e Benedetta Rossi) decideranno nei prossimi giorni.
Nei mesi scorsi il Tribunale di Sorveglianza aveva dato l’ok al 74enne per tornare ad usufruire dei permessi premio di dodici ore da trascorrere in una comunità terapeutica.
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